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Le polveri di legno rappresentano un rischio talvolta sottovalutato in azienda, i rischio principali connessi sono il rischio di incendio e l’inalazione di tali sostanze. In tale articolo approfondiremo l’esposizione al rischio chimico per inalazione di polveri di legno.

Prima di tutto bisogna chiarire la differenza tra il legno e la polvere di legno, la prima è un materiale sano, molto conosciuto ed intensamente utilizzato, mentre la polvere di legno nonostante sia prodotta attraverso la lavorazione del legno in quantità variabile, presenta un fattore di rischio per i lavoratori perché se inalata provoca effetti dannosi alla salute. Esistono due tipi di legno, duro e tenero, questo non sulla base dell’effettivo grado di durezza ma dalla distinzione botanica.

Le polveri si distinguono in diverse categorie a seconda del loro diametro; le differenti dimensioni modificano difatti il livello di assorbimento dell’organismo umano, in particolare:

  • Polveri  Inspirabili:  polveri  che  possono  entrare  nell’organismo  per  mezzo  delle  vie  aeree  (naso  e bocca).
  • Polveri  Inalabili:  polveri  aventi  per  il  50%  un  taglio  dimensionale  di  100  µm  (micron),  inalate  e trattenute nelle prime vie respiratorie, cioè naso e bocca.
  • Polveri Toraciche: polveri aventi per il 50% un taglio dimensionale di 10  µm e penetranti nell’area compresa tra la laringe e i bronchi.
  • Polveri respirabili: polveri aventi per il 50% un taglio dimensionale di 5 µm e penetranti nelle vie respiratorie conciliate, ossia negli alveoli dei polmoni.

La Direttiva Europea 2004/37 del 29/04/2004 sulla “protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro”, classifica come cancerogeni i lavori comportanti esposizione a polvere di legno duro e stabilisce un limite di esposizione occupazionale (OEL) pari a 5 mg/m3 misurato su un periodo di 8 ore.

I principali interventi per prevenire il rischio di inalazione da polveri sono:

-separazione delle lavorazioni (separare in locali diversi le operazioni che producono polveri di legno da quelle che non ne producono, allo scopo di limitare il numero di persone esposte);

– scelta delle macchine (acquistare macchine, nuove o usate, che siano provviste di dispositivi di aspirazione localizzata sui punti dove si genera la polvere);

-ventilazione per aspirazione localizzata (i dispositivi di aspirazione localizzata devono essere collegati ad una canalizzazione che espelle l’aria inquinata all’esterno. La raccolta e lo stoccaggio delle polveri deve avvenire in silos posti esternamente all’ambiente di lavoro. La velocità all’interno dei condotti deve essere almeno pari a 18 m/s per evitare il  deposito delle polveri all’interno dei condotti e l’intasamento degli stessi. Evitare sistemi di aspirazione che prevedono il riciclo dell’aria;

– pulizia come intervento di prevenzione (la pulizia del locale e delle macchine deve essere eseguita giornalmente per evitare l’accumulo di polvere di legno sui piani da lavoro e sui pavimenti con sistemi fissi d’aspirazione o impianti mobili d’aspirazione.

-Non utilizzare mai pistole ad aria compressa;

– formazione ed informazione (programma di formazione specifico sui rischi di esposizione a polveri di legno);

– organizzazione del lavoro (pianificare il lavoro con le procedure necessarie a controllare la dispersione di polveri).

Come fare quindi a valutare l’esposizione dei lavoratori?

Effettuando dei campionamenti personali e/o ambientali mediante apposita strumentazione la quale vada a  verificare le effettive quantità di polveri presenti nell’area respiarata.

La valutazione del rischio chimico si effettua mediante pompe di aspirazione collegate a un filtro, queste vengono attaccate al campionatore, che può essere personale o ambientale. Una volta acceso il campionatore, la pompetta inizierà a prelevare quantità d’aria e allo stesso tempo assorbirà gli inquinanti presenti in essa in idonei sistemi di fissaggio.

I quantitativi riscontrati nei filtri, dopo accurate analisi di laboratorio, sono confrontati con i valori limite disposti dalla normativa vigente la fine di quantificare l’esposizione dei lavoratori e definire correttamente i DPI necessari.

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