Penso che la comunità degli psicologi abbia coniato uno degli assiomi più belli quando, parlando di formazione, ha sentenziato: la formazione va a cambiare il “sapere essere” dell’individuo che la riceve.
Ed è proprio da qua che voglio raccontarvi la mia personale evoluzione che negli anni ho maturato durante la docenza in molti corsi di formazione.
La mia prima esperienza di formatrice si è esaurita con la mia mano che spingeva il tasto di un videoregistratore. Emozionante quanto vuoi, ma pur sempre solo un “esercizio” fisico.
Per diventare un esercizio mentale, ho dovuto studiare molto e curiosare in alcuni ambiti che proprio non appartenevano alla sfera degli argomenti che dovevo insegnare: rischi, misure di prevenzione e di protezione, comportamenti sicuri. Sono andata a sbattere in quella che viene chiamata dagli addetti ai lavori “cultura” della sicurezza e vi posso assicurare che è stata una piacevole botta.
Mi sono domandata: esiste un modo per trasferire delle conoscenze facendo collaborare l’allievo? Esiste un modo per farlo sentire parte attiva del corso, nel mood del D.Lgs. 81/2008 che vuole tutte le figure della sicurezza a formare una squadra?
Riflettendo, mi sono detta: perché parlare di normativa e non far visualizzare la normativa? Perché non far toccare il rischio, invece di ricordare solo numeri?
Ed è in quel momento che ho visualizzato, ho capito che l’unico modo per riuscire a trasmette il “sapere essere” era quello di far essere una esperienza ogni minuto passato in aula con giochi, video, musica, esercizi fisici che rendessero il lavoratore parte del momento e lo facessero sentire attivo, non solo una persona seduta su una sedia a subire passivamente le mie parole.
La mia prima grande sfida è stata organizzare un corso sui DPI un venerdì di inizio agosto in un cantiere stradale, con temperatura nella baracca destinata alla formazione di circa 35 gradi, a lavoratori che sarebbero andati in vacanza subito dopo la formazione: la mia giornata era decisamente in salita.
Sono arrivata con due borsoni pieni di dispositivi di protezione individuale, ho suddivisi i miei allievi in due squadre – una per borsone – e ho chiesto loro di eleggere un volontario a cui far indossare i DPI. Alla fine dovevano sfilare e chi riceveva più applausi, vinceva. Il tempo è volato, senza nemmeno la pausa a metà lezione.
Cosa avevo fatto? Avevo progettato a monte un percorso individuando i rischi presenti in quel cantiere. Avevo individuato delle criticità diffuse in quanto non tutti indossavano i DPI. Avevo stimolato nei lavoratori la consapevolezza, attraverso la collaborazione nella scelta degli stessi, sul perché dovevano indossarli. Li avevo resi partecipi e cambiato il loro modo di essere. Avevo vinto con solo due borsoni di DPI.
Questo è stato l’inizio di una serie di esperienze che ho voluto portare in aula e che rendono il mio lavoro divertente e stimolante. Ho cercato sempre di alzare l’asticella via via che andavo avanti nel mio essere formatrice, non smettendo mai di mettermi in gioco con esami sempre più difficili.
Se oggi penso al mio dito sul videoregistratore a dare l’avvio del corso antincendio rischio basso, sorrido e mi dico che un po’ di curiosità, preparazione e “cultura” mi hanno reso una formatrice migliore, senza smettere mai di superarmi e di inventare giochi nuovi.
Raccogli anche tu la mia sfida e mettiti in gioco: apri la mente e rendi unica la tua esperienza di formazione.
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