Ogni nazione ha il suo marchio distintivo (Made in Italy, Made in Germany, Made in Japan, etc…) che caratterizza i propri prodotti e li fa risaltare per le loro caratteristiche esclusive e la loro “qualità”.
L’utilizzo dei termini “Made in Italy” e “qualità” nella stessa frase non è casuale, anzi occorre che questi due termini siano indivisibili! Ma è realmente così?
Con il termine “qualità” si intende una molteplicità di significati tecnici, complessi e articolati, difficili da sintetizzare. Non di rado il termine qualità assume valori differenti in relazione agli intenti di chi lo utilizza (costo, utilizzo, sapore, facilità di consumo, valore dietetico/nutrizionale ecc.).
E con il termine “Made in Italy”? Con questa espressione si intende che un prodotto è interamente realizzato in Italia, dalla progettazione e il lavoro su carta, fino al prodotto finito e pronto per la vendita.
Il nome “Made in Italy” dovrebbe indicare la totale ed effettiva provenienza e produzione italiana dell’articolo che porta in suo nome tuttavia in molti casi non è così.
Nella realtà molti prodotti possono portare il nome “Made in Italy” anche quando sono, invece, realizzati quasi interamente all’estero!
Secondo l’articolo 24 del codice doganale europeo (Reg. EEC2913/92) , un prodotto che è stato realizzato in due o più paesi è considerato comunque del paese in cui l’ultima trasformazione o lavoro sostanziale ha avuto luogo. E quindi? Quindi se un articolo viene prodotto per il 70% all’estero e per il 30% in Italia, quel medesimo articolo può essere etichettato come “Made in Italy”. E non è finita qui: un articolo che viene completamente prodotto all’estero potrebbe recare il marchio “Made in Italy” se commissionato da un’azienda con sede in Italia.
Tutto ciò è a scapito delle piccole e medie imprese che producono il puro e vero “Made in Italy”.
Il piuttosto ambiguo art.24 del Codice Doganale Europeo (reg. EEC 2913/1992), spinge i produttori italiani ad effettuare una scelta tra due ben distinti livelli nella qualità dei loro “prodotti italiani”, una scelta che sicuramente non va a favore del prestigio del marchio, ma, al contrario, crea dubbi e confusione agli occhi degli acquirenti.
Ecco le due strade di questo bivio: